Un ricordo di Londra.

Un ricordo di Londra nel 2002 con un gruppo di amici architetti.

Esco dalla Galleria Tate, passo attraverso un ponte. Un uomo di età imprecisata, sta seduto su un banchetto, ha fra le braccia una chitarra rabberciata con pezzi di scotch, chitarra e lui si assomigliano, lui è sporco, lurido, un paio di scarponi ai piedi, calzoni corti, anche le gambe sono sporche, ha un microfono avvolto nella bambagia  con pezzi di cerotto, suona e canta con gli occhi chiusi, dalla gola gli esce un canto che non sembra che esca dalla sua gola, ma dalle gole delle montagne, dal segreto, dalle ombre dei boschi, primitivo, inarticolato, doloroso,  le parole mischiate al suo canto,  incomprensibili.  L’aria vibra dei suoni della sua chitarra, con un canto che sembra una preghiera, il soffio del vento, il fragore del mare, tutto esce dalla gola di un poveraccio, dimentico di un esercito di strafogatori, che gli sciamano senza vederlo, bambini che succhiano gelati, famiglie annoiate, coppie di vecchi indifferenti, e lui, fra pance zeppe di cibo, canta inascoltato ad anime spente. Fra poco si chiuderà nella sua tana, solo.