Il satiro

Ho visto un film, molto tempo fa. Marito e moglie, prendono la macchina per passare il fine settimana nella loro casetta in riva al mare. Si sdraiano sulla spiaggia, lei si spalma la crema, lui va a fare il bagno. Dopo un poco lei si alza, cerca suo marito, non c'è, non c'è più. Lo cercano, elicotteri, polizia, niente.
Dopo alcuni mesi la donna va in casa della suocera, una vecchia dal viso pieno di pieghe, ci va per sapere, per chiedere. La vecchia le risponde:" Tu mio figlio non l'hai capito mai, se ne è andato, tutti gli uomini sognano di andarsene, di scappare, non sanno dove, sanno solo che se ne devono andare.
Il Satiro di Mazara del Vallo.
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Potrebbe essere del quarto secolo prima di Cristo, alcuni propendono per i primi anni dell'Impero.
E' stato lì sotto ad una profondità di circa seicento metri per mille, mille e quattrocento anni. Un oggetto d'Arte, trasformato per un naufragio in cosa, come se fosse una pietra, un barattolo arrugginito, nel fango, lì in fondo, al cospetto del muoversi della natura che ha continuato ad esserci, nel buio, indifferente, sorda a tutto, anche alla sua miserabile esistenza, idiota come sempre.
Il Satiro è colato a fondo per caso, è stato ripescato per caso.
E ha ricominciato a parlare dopo centinaia di anni, ad essere ascoltato, a raccontarci le nostre inquietudini.
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Alcune parti si sono perdute, le braccia, una gamba sono ancora lì sotto, ma le fratture, le lacune, il loro buio scavato nel suo corpo, non sono solo il segno dell'incidente, ma la sensazione dell'immediato, come se fossero ferite, irrimediabili conseguenze delle nostre ribellioni.
La nostra guida ci dice che è rappresentato nel momento in cui sta cadendo. E' dimostrato che non è così.

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Non è caduto.
E' come se lo vedessimo nell'istante del suo momento più traumatico, un salto, un tuffo, non più nel sogno, non è più un'aspirazione ma è la realtà dell'addio.
A TUTTO.
 Tutto non  più oggetto del nostro rancore, del nostro rifiuto al passato, ad una realtà finalmente rifiutata ma la gioia della scoperta,  in un firmamento dove tutto è oblio, la musica, il rullo dei tamburi che si impadronisce del suo corpo, il raggiungimento dell'inenarrabile, dell'impossibile, l'urlo di un'emozione lacerante, che ci è superiore, insopportabile.
TROPPO.
E' la fuga, il rifiuto di quello che è stato, dei rancori, del presente, dei ricordi, di se stesso, abbiamo solo capito che ce ne dovevamo andare, che avevamo paura di andarcene.
DOVE?
 Troppo diverso, troppo sconosciuto, il miracolo di un addio, alla vita, la morte del peggio di noi, la liberazione da quanto ci è stato imposto, non abbiamo più bisogno di adeguarci, siamo finalmente liberi.

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Ha i capelli scomposti, bloccati al cinquecentesimo di secondo ma non è vento, è smodatezza, scatto, abbandono alla festa, alla musica, all'oblio. E' per questo che il suo viso, i suoi occhi, descrivono un delirio al limite della sofferenza, un orgasmo che abbiamo già goduto, sofferto, quasi morenti.
Non poteva che essere un uomo, non poteva che essere un animale, tutto istinto, irragionevolezza, ribellione, il coraggio di perdersi.

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Ha i testicoli turgidi, pronti a trasformare un pisellino appuntito e birichino in un cazzo.
  Il Satiro E' orgasmo.
Chi l'ha scolpito è un satiro anch'esso, ne ha fatto un autoritratto, lo è stato fino a quando l'ha finito, poi è tornato alla noia della vita, dove tutto è prevedibile, dopo avere scolpito se stesso, come non sarà mai, un uomo un artista - povero, grande, inadatto al mondo.