Gita a Licata

Gita a Licata.
 
Il pullman corre sull'autostrada. Non sono più abituato a tanto cielo, colline, tutto questo spazio:  la natura, uccide, cresce, si moltiplica, muore, da sola. Viviamo due vite, io per conto mio, lei come se io non ci fossi; vivo in città per questo, disegnata, costruita da uomini per uomini, dove non mi sento estraneo ma ora, solo ora, capisco perché sento anche il fascino dei boschi, fiumi, montagne: entro in un mondo che non è il mio,diverso da me, ospite non invitato.
 
Il castello.
 
La guida ci racconta che il castello di Licata

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costruito per difesa da chi attaccava dal mare, serviva solo come minaccia, se attaccato non avrebbe probabilmente né offeso, né avrebbe potuto difendersi a lungo.
E'stato costruito in tempi diversi e la sua bellezza si manifesta a noi proprio per questo,

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dai ripensamenti con i quali è stato fatto, lo stesso materiale, lo stesso colore, scorci che sorprendono, volumi che si oppongono e si compongono fra di loro.
Non ha importanza oggi che alcuni cannoni non avrebbero potuto sparare perché il loro rinculo non era stato previsto, guardo in alto, poi in basso, poi di lato, per capirlo, lo apprendo in una serie di sorprese spaziali. Forse per questo il cortile è triangolare,

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è un risultato, non una volontà di previsioni.
Arriviamo in un momento in cui il sole è sopra di noi. I merli hanno una strana forma trapezoidale che dà alla conclusione dei prospetti una preziosità di linee-ombra sorprendenti.

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Saliamo, entriamo nel grande vano dell'abitazione, saliamo ancora e sbuchiamo all’aperto, la visione del mare fra un merlo e l'altro


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e poi la costa, colori striati e luccicanti.
 Era qui che passeggiavano nelle notti di guardia, scrutavano lontano,allarmati per la possibilità di un' aggressione dal mare, il mare che ora è solo colore.
L'architettura ha un'attrazione magica quando non è più utile. Dopo secoli d'abbandono è solo testimonianza, silenzio, monumento, acquista una dignità che parla muta, il linguaggio della memoria, di quanto è rimasto, di quanto ci è stato lasciato.
 
L'ipogeo
Non ricordavo cosa fosse - ipogeo? Ci sono andato a tentoni: Ipo - sotto, geo - terra.
Era un santuario, un luogo di preghiera, ci informa l'archeologo, no era solo una cisterna, ironizzano altri.

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Probabilmente era una cisterna, che abbandonata è stata scelta come spazio di culto.
 L'uomo ha voluto spesso scavare per cercare Dio, scavare in se stesso e nella montagna, cercare Dio nel silenzio della solitudine.
Scavando, hanno eroso tutta la roccia, hanno svuotato tutto lo spazio, lasciando intatta una massa centrale che sostiene la volta:

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la luce piove, sfiora le superfici, creando un chiarore che si estingue quasi  sulle pareti perimetrali,

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abbiamo così forte il desiderio di trovare Dio che anche in un vuoto scavato riusciamo a creare un'apparizione colorata da un poco di pioggia di luce, in un silenzio totale, lontano da tutto,e da tutti, anche da noi: quella luce che dal cielo riesce ad entrare, suggerisce la possibilità di una presenza misteriosa, impalpabile, luce e materia, l'immaginazione di Dio.



 
Quando era cisterna, pioveva acqua, diventata santuario pioveva illusione.
  Poi abbiamo capito che è solo la luce del cielo, niente, niente altro.
Nessuno prega lì sotto ora, nessuno: la luce continua a piovere.