Viaggio in Giordania
Viaggio in Giordania
Il viaggio è partire
Il viaggio è avere la tentazione di non tornare
Il viaggio è stupore
Il viaggio è capire
Il viaggio è tornare con una memoria piena di emozioni.
Jarash
Era sepolta da sabbia e terra, forse è per questo che le tracce della sua storia millenaria sono così facilmente leggibili, così integre.
La regione che la riguardava era particolarmente fertile, l'acqua abbondante, era il crocevia di scambi commerciali.
LArco di Trionfo
fu costruito per onorare la visita dell'imperatore Adriano che la arricchì di strutture monumentali.
Furono proprio i romani a determinare due secoli dopo, la sua decadenza emarginandola quando spostarono le rotte commerciali verso il mare.
Ci portano sulla piazza ovale, disegnata da un susseguirsi di colonne ioniche unite in alto da un architrave decorato. Le colonne erano in parte insabbiate, è per questo che sono di due colori diversi.
Dà l'impressione di magnificenza, mi è bastato immaginare questo spazio come mercato all'arrivo delle carovane per risentire questo spazio echeggiare di voci, richiami, trattative.
Non sono particolarmente emozionato.
Poi il Cristianesimo con Costantino divenne religione di Stato.
Il tempio da pagano si trasforma in cristiano, absidi
che accolgono un Dio diverso, diversamente pregato, con le stesse speranze, le stesse richieste.
Ci incamminiamo nel cardo:
ai lati della nostra passeggiata quello che rimane di una grandiosità ancora leggibile. Le colonne, i capitelli, i resti di trabeazioni riccamente scolpiti, il Ninfeo,
il tempio ci accompagnano fino alla porta, parliamo, ci conosciamo, ci raccontiamo, sento la violenza del tempo, che ha abbattuto tutto, devastato, inutilizzato, mi siedo su pietre scolpite da maestri,
mi faccio fotografare, mi sento cretino come l'indifferenza devastante dei secoli che sono passati.
I segni del tempo, dell'abbandono, dei fasti dimenticati. Mani sapienti che li hanno scolpiti, caduti nell'abbandono, una realtà che mentre percorro il cardo mi parla in un linguaggio premonitore:
La bellezza non salverà il mondo, nemmeno la bellezza sarà risparmiata.
Strade, mercati, colonne, spazi sacri ridotti a ricordi, testimonianze, luoghi oggi inutilizzati, spettacoli muti, ascoltiamo quello che ora, una grande civiltà divenuta spettro, cerca di dirci, cerca di farci capire.
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Naturalmente anche qui come ad Agrigento hanno costruito a pochi metri da queste memorie, un panorama indimenticabile dai balconi di edifici che probabilmente coprono resti di grandiosità calpestate.
Vendesi appartamento con veduta sul passato.
Il pullman gira intorno alla città di Amman probabilmente ho davanti la periferia e come tutte le periferie è di uno squallore che non mi sorprende, probabilmente costruita in questi ultimi 30 anni, dopo tanta magnificenza sono annoiato da edifici che compongono quartieri da dimenticare: una visione fuggente per fortuna.
Qasr al- Kharanah
Lungo la strada che conduce ad Amman ci fermiamo, scendiamo dal pullman e lontano, isolato si scorge un castello,
maestoso, misterioso, lontano, costruito con la pietra rosa del posto. E' un caravanserraglio, ci dice la guida, ogni angolo è segnato da una torre
e una torre semicircolare al centro di ogni lato. La torre della parete di ingresso è tagliata da un arco che inquadra il varco dell'entrata. Il colore è il colore della sabbia che lo circonda, al centro un grande cortile circondato dalle stalle, al primo piano le stanze.
Viaggiavano di notte, quando l'aria era più fredda, in fila uno dietro l'altro, seguendo le stelle, il rumore felpato, appena percettibile degli zoccoli dei cammelli sulla sabbia, sulle pietre sparse nel deserto, ombre che si stagliavano dondolandosi contro il cielo schiarito dalla luna, quasi invisibili, contro il buio, contro l'orizzonte del cielo appena schiarito, le ombre delle dune, gli odori del deserto.
Lì dentro, fra queste mura,
il silenzio di una solitudine assoluta, le attese, l'invasione improvvisa di chi è finalmente arrivato, gli animali che si lasciano andare sfiniti, gli incontri, i saluti, i racconti, i mercanteggiamenti, e poi da capo il silenzio, echi lasciati da chi è ripartito, spazi in cui di nuovo non c'è più nessuno.
Qusayr Amrah
Era un complesso circondato da giardini, irrigati da una noria. E' stato dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'Umanità.
I califfi si dedicavano alla caccia ed ai convivi e naturalmente approfittavano per stringere alleanze con le altre tribù beduine.
Quando siamo arrivati automaticamente mi sono venuti in mente alcuni schizzi fatti da Le Corbusier in uno dei suoi viaggi. Sono talmente deformato che ho goduto di questa piccola costruzione.
Inizialmente.
Le tre navate sono coperte da volte a botte,
il calidarium da una cupola.
Le parti cilindriche emergenti, parallelepipedi composti con volumi cilindrici, spigoli composti e contrapposti con forme sfuggenti, pareti piene di sole, e pareti piene di ombra, scattanti ed avvolgenti, è tutto colorato, armonizzato dal colore della pietra, dello stesso colore del terreno, del deserto.
Una realizzazione piccola ed incantevole.
E sissignore, c'era anche il calidarium.
Perché i califfi lì dentro se la spassavano, le donne, si immergevano nell'acqua tiepida e profumata, lo sciacquio dell'acqua si componeva con il ritmo delle danze, uscivano.
Gocciolavano ancora mentre ballavano per loro?
Affreschi raccontavano corpi di donne nude, pronti, preparati per eccitare,
l'impatto di un culo profumato dall'acqua, che non sapendo di essere guardato è offerto a sguardi arrapati, incontri segreti, piaceri messi a disposizione della vita, spesso sprecata, spesso sprecati, goduti con lentezza, in compagnia, in spazi studiati per accogliere desideri, voglie sicure di essere esaudite e...rappresentazioni della Filosofia e della Poesia.
Lo immagino come i califfi persuadevano a stringere alleanze.
Wadi Kharrar
Dove l'ho letto che le fobie sono bugie del cervello?
E' qui che è stato battezzato Gesù. Mi hanno raccontato questo battesimo in mille modi, musica, fiaba, films, d'altra parte siamo noi che vogliamo che sia un fatto avvenuto in un alone di incanto. Pasolini e Rossellini da questi inganni sono fuggiti, chissà se hanno visto questo posto prima di raccontare il Vangelo.
Ora so che l'hanno raccontato bene,così come è stato.
E' solo una pozzanghera.
Ho avuto l'illusione di Dio in occasioni minori, il vento in cima alla montagna, l'eco di un organo in una chiesa, solo illusioni, finite in una pozzanghera.
Due uomini si sono incontrati, uno ha battezzato l'altro, un atto di amore, tutto qui. D'altra parte se le vestigia di grandi civiltà sono state atterrate dal tempo, perché una striscia di terra di fronte ad un fiume, dopo duemila anni, doveva essere risparmiata?
Solo i nostri racconti non si sgretolano, rimangono dentro di noi intatti nel tempo, ma fuori, tutto è esposto alle ingiurie dei secoli, all'avvicendarsi del caso.
In questo viaggio ho visto uomini pregare in un ristorante, dalle vetrate si vedeva il Mar Morto, la gente in costume, docce, lo schiamazzo dei bambini, camerieri che mettevano in ordine i tavoli e i piatti sporchi, e loro in ginocchio, la testa sotto i tavoli, la fronte sul pavimento, pregavano.
Nella Moschea di Damasco,
ho visto gli uomini ( sono divisi dalle donne)
pregare rivolti verso la Mecca, ma lì, dentro la Moschea, sono davanti ad un muro.
Davanti a quel muro seguono la lettura di una voce trasmessa da un altoparlante, e la seguono, obbediscono, si alzano, giungono le mani, si inginocchiano.
Dio è dentro di loro, non hanno bisogno di immagini, è tutto nella loro immaginazione sorretta da una fede incrollabile.
E' impressionante come gli uomini continuino a credere, quando anche le pozzanghere ci ricordano che solo noi non siamo indifferenti.
Petra
E' patrimonio dell'Umanità dellUNESCO dal 1985, riconosciuta nel 2007 come una delle nuove sette meraviglie del mondo.
Cammino fra le montagne,
su un fiume di sabbia, le montagne incombono su di me, alcune volte è difficile vedere il cielo.
Le eruzioni dell'Etna hanno dato a noi materiale da costruzione, le montagne di Petra, contengono l'uomo, le sue sepolture, le sue dimore, le botteghe, gli dei.
Eppure sarebbe stato più facile seppellire i morti, in una fossa a terra.
Perché loro hanno seppellito i loro morti dentro la montagna?
Seppelliteci nella roccia vogliamo che il nostro corpo divenga montagna.
Le abitazioni sono segnate principalmente dai loro ingressi, un'apertura (l'unica)
per uno spazio scavato per vivere.
L'accesso scavato per la morte non è trascurato come l'accesso scavato per la vita, ha una ricercatezza che gli dà un significato, un valore che lo spazio per la vita non ha. Il taglio nella roccia ha un segno in più, un taglio più esatto, più accurato, impreziosito da un timpano, una cornice, un'attenzione.
E' la mia filosofia di religioso non credente che mi porta a sorprendermi quando lo noto.
Vivere quì è stato preparazione, una conquista di merito, un passaggio verso uno stato superiore e definitivo.
Il tempio e il sepolcro fanno parte dello stesso rapporto, tra la vita come rapporto tra conoscenza e l'inconoscibile.
Nel cimitero della mia città, ho visto parlare con le fotografie dei defunti. Oggi come allora abbiamo troppo bisogno di essere consolati, accompagnati, forse loro che hanno lasciato la vita sanno quello che inutilmente cerchiamo di capire noi.
Non abbiamo il coraggio di riconoscere che lì, dentro la montagna scavata per loro, c'è solo la speranza che li faceva sognare quando erano vivi.
Lacqua della pioggia cola sempre lungo gli stessi percorsi, le stesse gole, e così il gelo e poi il disgelo, il vento, il sole, scavano, scolpiscono a caso. Ma la montagna alcune volte è stata scolpita dagli uomini lungo gli ingressi delle sepolture, delle abitazioni, dei templi e gli uomini non scolpiscono a caso, ogni volta rappresentano i loro timori, le loro superstizioni, i loro dei, i loro misteri.
Nei secoli il lavoro usurante della natura si compone con il lavoro dell'uomo e si creano strane forme in parte rappresentative, in parte astratte e senza senso, nuove forme, di un fascino composto.
Il linguaggio dell'uomo che resiste e che viene nuovamente scolpito e deformato dal logorio del tempo.
Continuo a camminare lentamente, ogni tanto il calpestio del percorso da naturalmente sabbioso si trasforma in lastricato di pietra. Lungo la superficie massosa della montagna compaiono interventi per sepolture, abitazioni, qualche bottega. Il protagonismo della natura del posto, non ne è contaminato.
Filtra ad un certo punto fra masse pietrose inclinate un'apparizione, illuminata dal sole.
La roccia fra la quale abbiamo vagato, perde improvvisamente la sua primitività e diventa prospetto, asse di simmetria, una parete scoscesa trasformata, scolpita.
Dio non può essere montagna, Dio è un'invenzione dell'uomo e qui il lavorio del tempo, terremoti, crolli, alluvioni, pietra, si trasforma con il lavoro dell'uomo in regia, arte, architettura.
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La montagna è la verità, bellezza indifferente, la preghiera è illusione, rifugio, determinazione, è me, la mia voglia di Dio,
E' vero, anche la montagna può essere luogo di preghiera ma non nel caso di Petra, dove il contrasto, anzi la lotta fra il caos della natura e l' irrequietudine dell'uomo avviene in un dialogo senza asprezze. Da una parte il fascino innegabile delle masse della montagna, dall'altra il prospetto del tempio che taglia la montagna, la trasforma, in un linguaggio che è il mio, mi parla, svela le mia ansia di Dio, mi convince, mi dimostra che c'è.
Questa è Petra,
non luogo di spazi immensi ma passaggio, percorso, circondato dal caos di un paesaggio montuoso, fino alla sorpresa di al-Khaznah dove rimaniamo abbagliati dall'artificio, dalla volontà dell'uomo, che progetta e scolpisce. E' qui che mi rendo conto definitivamente quanto l'arte rappresenti il Dio che cerchiamo in noi.
A Matisse chiesero. " Maestro lei crede in Dio"? E lui rispose :" Sì, quando dipingo".
Wadi Rum
La mia curiosità è sempre stata centrata su quanto l'uomo ha costruito. Non so perché, forse per gli studi fatti, per i decenni di professione, forse perché capire uno spazio architettonico o della città mi avvicina ai miei simili che sono morti centinaia di anni fa, non so.
Wadi Rum è stata la grande sorpresa di questo viaggio.
Ha avuto origine da una grande frattura della crosta terrestre, provocata da un violento sollevamento che fece staccare enormi pezzi di granito e di arenaria dalle montagne. Alcuni di questi enormi blocchi erano alti migliaia di metri.
Difficile da descrivere.
Forse è stato il silenzio.
O le ombre.
O i colori.
O l'impressione che noi fossimo degli invasori.
Non c'era altro a perdita d'occhio. Rocce che fuoriuscivano dal deserto, erompevano, la sabbia per terra, dalla sabbia erano germogliate rocce erose dal vento, che cambiando il colore del sole, si coloravano, .
Poi ci ha pensato il vento a ridimensionarli. Con la pioggia, le migliaia di anni.
Siamo arrivati poco prima del tramonto, l'ora delle ombre lunghe.
Gli abitanti erano loro.
Loro che ci offrivano uno spettacolo, giganti silenziosi, soli, minacciosi, protagonisti di una scena che mi ha lasciato senza fiato.
Se fossi stato solo avrei avuto paura? Forse si.
Ma dentro di me è rimasta l'emozione, il ricordo, di quanto in quel momento mi veniva rappresentato.
Una scena in cui io ero uno spettatore travolto, perché qualcosa mi veniva detto da 'tutto, e io non potevo tradurre, sentivo soltanto, ero diventato come loro, solo corpo, che capiva, lui sì, io conservavo solo una commozione di cui sentivo la grandezza parlata in una lingua sconosciuta, che mi ha riempito il petto, che mi è rimasta dentro, che non se ne è andata più.
Non era solo la scena di un teatro, sentivo parlare le montagne, come sanno parlare loro, in silenzio, non capivo, ma sentivo, che ero di fronte a qualcosa di grande, che mi faceva sentire grande, come si fa a non sentirsi grandi quando tutto sembra chinarsi verso di me per farmi capire, ma cosa? Cosa?
Non lo so, so solo ricordare come mi sono sentito, come continuo a sentirmi quando ricordo. Un ricordo, un grande regalo che non voglio perdere.
Chissà forse un giorno riuscirò a tradurre, a capire. E poi perché capire?
Perché questa razionalità di uomo occidentale? Sono stato in una leggenda, l'entusiasmo che mi ha dato, mi torna sempre ogni volta che lo voglio ricordare, basta.
Sono grato, non è poco, il deserto si è spaccato in un'eruzione di strani personaggi rocciosi, ho ascoltato qualcosa di immenso, come la mia gratitudine.
Il museo archeologico di Amman
Le statue antropomorfe di Ayn Ghazal.
Sono in calcare ed argilla, gli occhi in bitume nero.
Inquietanti personaggi per chi si dedicava a riti di magia. Gli occhi sbarrati, il corpo condannato all'attesa, inchiodato a terra, mi ricordano l'angoscia delle figure di Giacometti, o i mostri di Bagheria, la stessa espressione, la stessa fissità.
I sarcofagi antropoidi, contengono un corpo senza vita, ma hanno un viso, un'espressione che nega l'umiliazione della morte.
Solo l'immaginazione è perfetta.
Alla fine del viaggio l'organizzatore ci ha portato in Siria. Nonostante Damasco vanti uno dei musei archeologici più importanti del mondo abbiamo visto solo la moschea.
La sera siamo ripartiti per Amman.
Al confine siamo arrivati di notte, e per sbrigare tutte le operazioni necessarie per passare in Giordania siamo stati fermi un paio di ore.
Una bella notte estiva, una leggera brezza.
Una signora giovane era seduta nella sala di aspetto in compagnia della madre, le si vedevano solo gli occhi e le mani. Indossava un burka nero, di un tessuto leggerissimo. Ad un certo punto si è alzata per sbrigare le stesse operazioni di confine. Essendo donna ne discuteva con una funzionaria. Poi tornava dalla madre, poi la chiamavano e lei si alzava usciva da capo dalla sala d'aspetto con il passaporto in mano e così per un'ora.
E io mi sono fissato a guardarla, mentre lei usciva, scendeva alcuni scalini, poi entrava nell'ufficio dove la ricevevano, la vedevo parlare, poi usciva, scendeva alcuni scalini, li risaliva per tornare dalla madre,
Non ero fissato, ero affascinato.
Era il segreto di una femminilità nascosta, una femminilità solo immaginabile.
Solo l'immaginazione è perfetta, ideale, sospirata, l'immaginazione di un corpo nascosto.
Lo ha capito che la guardavo, non la guardavo soltanto, la seguivo nei suoi andrivieni, per spiarla meglio, e lei mi ha visto, senza guardarmi.
Da questa sospirata femminilità celata uscivano messaggi che tentavo di decifrare adeguandomi ad una segretezza raffinata che l'occidente ha sgretolato.
Mi venivano in mente quella valanga di reggipetti, tette, culi, cosce, pance, ombellichi, che di Sabato sera calano lungo via Etnea, una valanga di cafonismo, irridente a quanto c'è di più bello nella vita, il corpo di una femmina ( femmina! Ho detto femmina!).
Vendono caldaie,vacanze,vasche da bagno mettendo in mostra il corpo delle donne, cantano e le spogliano,ballano e le spogliano, un mito infranto,un incanto venduto.
Non parlava, sussurrava, camminando, il rumore dei tacchi sull'asfalto, scarpe tagliate nel fianco del piede, con le mani tamburellava il cellulare, come giocando, mani curate, bianche, un soffio di brezza che era arrivato a noi passando lungo il deserto, ha investito il suo burka che si apriva celando tutto, la parte del velo che le copriva le spalle si apre appena e appare una striscia ricamata, un decoro colorato, e i suoi occhi che ti guardano per un decimo di secondo, e poi si abbassano subito.
Puoi solo farti domande, le certezze sono finite, è proprio vero che mi ha notato? Che diavolo le passa per la testa, posso solo chiedermelo, ma in quel decimo di secondo faccio a tempo a vedere quanta cura, quanta sapienza è stata applicata per truccarsi le palpebre, le ciglia, il leggerissimo colore dell'ombretto, ti guarda e se ne va, e mi lascia lì incerto, attratto, invaghito, mentre la guardo, quegli occhi mi danno l'impressione di avere colorato anche me, un'apparizione che mi scalda il cervello.
Poi ha preso l'ascensore con la madre, entro anch'io, lei ha gli occhi abbassati, è profumata, la fiuto, esce con la mamma, io esco dopo, faccio finta di essermi sbagliato, tanto non ci credono, rientro nell'ascensore inseguito dagli sguardi incazzati della madre.
Poco dopo, è arrivata una Mercedes, ed è sparita.
A casa, dentro, quando suo marito la spoglia,
lui, che unico,
ha il diritto di vederla come un idolo svelato,
lui, che fa?
Si inginocchia, ringrazia, prega?
"Tu, zione, corteggi la morte".dice Tancredi al principe, ma subito dopo Tomasi di Lampedusa scrive: " L'agonia di un uomo che sente la vita uscire da lui a ondate successive. Negli ultimi secondi di vita gli torna l'immagine di una donna intravista alla stazione di Catania con il suo vestito marrone da viaggio e i guanti di camoscio mentre dilagava in lui il fragore della sua vita in fuga.
" Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora.
Insinuava una manina guantata di camoscio, fra un gomito ed un altro dei piangenti, si scusava, si avvicinava. Era lei la creatura bramata da sempre
giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo
Il fragore del mare si placò del tutto.(**)
Aspetto l'ora della partenza nell'aereoporto di Roma, stanco, con la barba lunga, l'alito puzzolente, stravaccato, con i piedi appoggiati sull'unica valigia che non sono riusciti a fregarmi.
Non l'ho più dimenticata.
E' un'apparizione che spero anche per me, nel momento della mia morte.
Si farà largo, lei, con le sue mani nude,
nascosta in un burka di seta nera, il fruscio dei suoi piccoli passi,
le palpebre appena toccate dall'ombretto,
si avvicinerà, solleverà il velo,
per placare il fragore del mio mare.
(**)Il Gattopardo: La morte del principe.