Viaggio in Birmania

 
 
 
 
 
Viaggio in Birmania.
 
Mi chiedo cosa spinge un uomo a ficcarsi nel buio di una grotta, o nel deserto?
Azzerare i rumori dell’esistenza. Figli, moglie, amici, impegni, pensieri, incontri, tutto, per entrare nel vuoto, rasserenarsi nel silenzio, pregare per parlare o per ascoltare la parte segreta di noi stessi, la più importante, la più dimenticata, svuotarsi della vita.
 
 
 
 

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E’ passato un anno. Rileggo gli appunti ma, che strano, la prima cosa che rammento sono le parole scritte da Sgalambro in un libro che in quel viaggio mi hanno fregato, o l’ho perso - quando sono in viaggio perdo tutto.

Non ho la memoria adatta per trascriverle con esattezza, ma andando alla cieca sui concetti:
 
il vero non è il fiume che scorre placido, ma il vero è la piena,
non è il mare nella bonaccia ma lo tsunami,
non è Gesù ma il Golgota,
non è l’amicizia ma il tradimento,
non è il cielo terso ma il temporale,
non è l’amore ma la solitudine,
non è l’infinito ma il nulla.
 
E’ la verità. Vorrei non esserne deluso. Lo sono sempre.
Sono attratto dalla ribellione degli illusi. Sono consapevole del vero, ma sto dalla parte di chi
lo dimentica.
 
2 Aprile
Sono in aereo da 12 ore. Ogni due ore le hostess passano con vassoi piene di cose strane, che ingurgitiamo cercando di dimenticare la noia di viaggiare a 800 km l’ora.
 

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C’è stato un tempo in cui avevo la passione dei cimiteri, quegli sguardi nelle immagini consumate dal tempo,il sentimento di pace che mi prendeva: ritrovo quel silenzio nel cimitero di Hpauk Kian.

Hanno diviso la superficie in moduli di 1,50 segnati da un arbusto, non tutti fioriti; al centro un’urna con la scritta su un pannello in bronzo.
Migliaia di morti dell’ultima guerra, dai 20 ai 35 anni. Tombe vuote. Chissà i loro corpi dove si stanno sgretolando.
 
Questo cimitero è un atto di costrizione, ma lì sotto non ci sono cadaveri,
è un vuoto che mi sgomenta.
Un cimitero finto che ricorda morti veri.
Lì sotto non c’è niente.
Se ci fossero resti umani sarebbe diverso?
un cimitero vuoto è senza orrore
ma ogni lastra dovrebbe raccontare non solo un nome
sfogliare una vita
leggere ogni caduto in una pagina appena cominciata, l’unica rimasta, l’unica vissuta.
 
Una vita come tante
chi ero io a venti anni?
Trasformati in una morte…che volevi dire? Ingiusta? tutte le morti sono ingiuste.
 
Amo il temporaneo, perché è il contrario della morte.
 
La pietà fra uomini non è il vero
il vero è uomini che uccidono
 
Dio uccide con noncuranza
gli uomini sono diversi.
.
3 Aprile
Una serie di patacche ricostruite nel 1995, che fanno finta di essere di quasi un secolo fa. Ma forse patacca è un termine troppo dispregiativo: sono rifacimenti che permettono di immaginare con il minimo sforzo come queste costruzioni in origine dovevano essere.
F.L.Wright ha sicuramente studiato il movimento anzi il comporsi delle masse delle coperture, lo scatto in avanti dei due corpi laterali contrapposto all’arretramento del corpo centrale, di conseguenza si crea un forte gioco di grandi ombre il corpo centrale più in ombra dei due laterali, un’ombra animata dal ritmo dei due portici. All’altezza delle soglie delle finestre un cornicione in pietra corre orizzontalmente sui tre corpi, unificandoli. Peccato che siano falsi, da lontano creano, svettando contro il cielo fra gli alberi, un grande fascino, un fascino … pataccaro.
 
 
L’architettura religiosa in Birmania ha una forte valenza simbolica realizzata in una forma conica che punta rastremandosi verso l’alto: sembra scavata al tornio.

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Simboli dorati che si rastremano mano mano che salgono, fino a diventare un ago puntato verso il cielo, un’ antenna ricevente –

(ricevente cosa? Possibile che ovunque io vada gli uomini cerchino sempre un contatto con la divinità?Quando la smetteremo di illuderci?) –
 
 
E’ dall’alto che vogliono l’Attenzione.
Non è d’oro perché così l’hanno voluta i fedeli, è la Risposta, una pioggia dorata che veste una voragine di preghiere fortunate, la ricerca assetata di un Incontro, un vortice che ci inghiotte verso Dio.
 
Quello che c’è qui su questa terra non ci basta, vogliamo altro.
Abbiamo la necessità di dare un senso alla vita – non è possibile che tutto finisca nel nulla – e allora costruiamo Dio in spazi sconvolgenti.
Vogliamo che Dio sia così.
E invece siamo noi. Prima un dubbio, poi un tentativo, poi una speranza, alla fine una certezza.
 
 

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Emergono,simboli sacri, fra gli alberi,al di là dei tetti delle povere case nei sobborghi, un segnale come i nostri campanili, ma i nostri campanili fanno parte integrante del paesaggio che li circonda, gli stessi materiali, le stesse tegole, gli stessi colori. Invece i templi in Birmania si stagliano, non hanno nulla di quanto sta loro intorno, sono d’oro, segnano da lontano una presenza protettiva e superiore.

Il loro spazio sacro, a differenza del nostro che è prevalentemente uno spazio interno, è all’esterno, dove si cammina, i bambini corrono, mangiano, e la preghiera è fra tutto , vicino a chi mangia, chi parla con i parenti, gioca, mentre Budda è dappertutto.

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D’oro, lucido, in gesso, seduto, sdraiato, sorridente, piccolo, grandissimo, buono, delicato, garbato, sereno.

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Buono, delicato, garbato, sereno … lo è talmente tanto che talvolta diventa femmina, una bella, truccata signora.

 
Buono delicato, garbato, sereno - siamo lontani dal concetto sulle donne che Saul Bellow dichiara in “L’uomo in bilico”
mangiano insalata verde e bevono sangue umano.
 
 
 
 
 
Il lago Inle
 
 
 

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Pescatori, palme all’orizzonte, fantasmi di strutture in bambù, abbandonate, trasparenti, gabbiani, fiori acquatici.

Siamo nel lago Inle, in imbarcazioni sottili con la chiglia quasi inesistente, che filano nell’acqua grazie ad un’ingegnosa struttura in ferro che permette di orientare l’elica in modo che peschi anche in profondità minime.

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Sbarchiamo. Siamo in un monastero galleggiante. Quattro pilastri circolari in legno sostengono la copertura. Un corridoio gira attorno ad una piattaforma rialzata; seduti sopra, decine di Budda , piccoli, grandi, lucenti,un impercettibile sorriso enigmatico,lo sguardo immerso in una serenità interiore infinita.
Presenze che fanno parte del silenzio dove la luce filtra con intensità digradante dal basso, in alto quasi al buio, una penombra diversificata che dà a questi sorrisi, un’aria di magia, mistero irraggiungibile.
 
Quando sono a Catania guardo il mare, e mi piace molto, sempre.
Tutto questo è diverso, non posso nemmeno dire che mi piace.
Il gesso colorato di cui sono fatti questi simulacri, invecchierà, il legno che struttura questo monastero sta cominciando a marcire, soffrirà del tempo come me. Sono uomini come me, quelli che in questo spazio sacro hanno cercato di esprimere Dio.
Il mare non esprime niente.
Oliviero Toscani ha detto che chi viaggia in occasione delle vacanze è uno sfigato. Per questo lui le vacanze le passa a casa.
Sono un viaggiatore sfigato che ha voglia di tornare a casa.
Risaliamo in barca. Il sole si sta inabissando. I colori del tramonto sono sempre gli stessi, ovunque, da milioni di anni.
 
Siamo in un sito archeologico. Piccole costruzioni, ognuna delle quali era destinata ad un dio.
Abbandonato.
Alla sterpaglia, alla pioggia, al vento, al sole, e lentamente, inesorabilmente, l’abbandono ha accelerato il degrado che annienta tutto, si trasforma in crollo, i colori si amalgamano nel colore della polvere e della terra, le nicchie destinate ad accogliere i simulacri, vuote, inabitate, buie, niente, niente di quanto ho visto in questo viaggio è stato più commovente del lento morire delle tracce di una venerazione rivolta ad un dio sprezzante che assiste incurante al crollo di ogni preghiera.
L’uomo è eroico nel negare il nulla.
 
Nella grotta di Pindaya.
 
Per caso, una volta dentro questa grotta, nel buio hanno trovato una scultura di Budda. Un santone si era rifugiato nel buio per riuscire a entrare in contatto attraverso il silenzio con il suo Dio.
E hanno continuato. Ringraziamenti, richieste di protezione, paure, un poco alla volta uno spazio immenso è stato occupato da centinaia di Budda, Budda eremita, Budda principe, centinaia di figure che ora affollano tutti gli spazi, tutti gli anfratti della grotta, nell’ impressionante grandissimo vuoto.
All’improvviso la luce se ne è andata e la grotta è tornata per qualche minuto quella che era, silenzio, un’oscurità animata da quel poco che si intravedeva, sguardi, le pieghe dei panneggi, mani, qualche bagliore dorato, e una massa rocciosa, incombente, primitiva, paurosa.
 
 
”Je me cache” mi rispose un francese ad Assisi.
 
Mi chiedo:cosa spinge un uomo a ficcarsi nel buio di una grotta o nel deserto?Azzerare i rumori dell’esistenza. I figli,la moglie, amici, impegni, pensieri, incontri, tutto per entrare nel vuoto, rasserenarsi nel silenzio, pregare per parlare o per ascoltare la parte segreta di noi stessi, la più importante, la più dimenticata, svuotarsi della vita.
 
Mingun
 
Gita in battello, quanto mi piace l’acqua!
All’arrivo una bambina mi avvicina e io le dò 500 kiats pari a 30 centesimi ma lei li ha voluti solo in cambio di un righello ricavato da una canna di bambù decorato da fiorellini rossi. Lo conservo ancora per il bel ricordo che mi è rimasto.
Magrissima,un’espressione da furbacchiona, un sorriso pieno di malizia, gli occhi un poco a mandorla.
 
L’acqua e il degrado, io di me stesso non capirò mai niente. Come può piacermi la purezza dell’acqua e nello stesso tempo la tristezza del degrado?Un degrado spinto al crollo, due leoni di una decina di metri sono stati distrutti da un terremoto, se non fosse per il sedere che si è salvato, sarebbero irriconoscibili. La stessa fine l’ha sofferta un tempio.
Non hanno fatto a tempo a finirlo. Un terremoto nel 1800 l’ha letteralmente spaccato in quattro, eppure ho un’inspiegabile attrazione per i resti di questa distruzione.
 
Budda mi perseguita, è dappertutto. Alcuni sono bellissimi, altri mi fanno rimpiangere i pupazzi che fanno per il carnevale di Acireale.
 
Al ritorno mi viene incontro la bambina- come ti chiami?
-Cion Cion-
Sospetto che me l’abbia inventato- io? Come mi chiamo io?Mi chiamo Ivo-Ivo?-E sissignore, Ivo!-il mio nome la fa ridere. Mi ha seguito.
Quando sono salito sul battello lei era ancora lì, seduta sulla sabbia che mi salutava. Le ho fatto vedere il suo righello- Ciao Cion Cion me lo porto a casa!-E lei rispondeva salutandomi agitando le braccia. Avevo quasi le lacrime, deve essere stata la stanchezza.- Un caldo intollerabile, in confronto lo scirocco di Catania è uno scherzo.
 
La pagoda di Mahamuni
 
Coperture digradanti, dal basso, a livello dell’ingresso, fino al punto più alto al centro dello spazio interno.
Poggia su pilotis.
Tutti i prospetti sono decorati da sculture lignee, porte, mensole, angoli, pareti, sono tutto un racconto che si muove, si agita, toglie e nello stesso tempo dà continuità alle superfici.
L’effetto spaziale è esaltante all’esterno,coinvolgente all’interno, ma sono i tetti che scattano dal basso verso l’alto con un andamento piramidale, e il chiaroscuro delle decorazioni scultoree, gli elementi che rendono questa pagoda indimenticabile.
Non solo. Probabilmente i bassorilievi erano ricoperti dalla foglia d’oro, scomparsa fortunatamente,ora è la tessitura del legno invecchiato dal tempo che materializza l’architettura.
 
In Birmania la preghiera,deve essere rivolta all’oro, Budda, colonne, volte, absidi, sfondi, oro, oro, opaco, lucido, a scaglie, se è Dio è oro. La scenografia è consumata, Budda appare fra i pilastri, inquadrata in un arco, accolto da una volta, d’oro. Se è d’oro,è più dio, potente, diverso, grande.
Per arrivare al luogo della preghiera, si attraversa sempre un mercato dove vengono fottuti i turisti, poi si arriva davanti a Budda dove vengono fottuti i fedeli.
 
 
 
 
 
Alle quattro del mattino
 
Ho dormito due ore, mi si è scucito lo zaino, ho la diarrea, praticamente faccio la pipì con il sedere, in volo per Bagan aleggia nell’aereo puzza di formaggio, ma non credo sia formaggio, il mio vicino, un compagno di viaggio romano, mi parla di Totti, di Del Piero, mentre io distrutto, sfinito, sogno un gabinetto, un gabinetto tutto per me.
 
Sagaing
 
 

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Guardo mezzo annientato una moltitudine di templi e di stupa, peccato che stia male, perché sono le cose più belle. Realizzate tutte in mattoni, di un colore spento, probabilmente fatte di un pasta tenera, di conseguenza docili al taglio per tutte le sagome, in pianta si svolgono secondo l’angolo retto, progettata tutta secondo un sentimento di ascesa, sottolineata da una serie di pinnacoli con le antenne in controluce, in una serie di piattaforme digradanti, più in alto, sempre più in alto, e poi lassù alla ricerca del cielo, una strana forma composta da gradini circolari che si rastrema fino a diventare un’antenna, un ago, quasi niente, si fonde con l’aria, con il cielo, con l’infinito. Non è solo architettura è un concerto di ombre orizzontali,del colore caldo del mattone, sarebbe bello che Dio fosse così! Ho bisogno di un pannolone.

 

 

 
Il monastero di Maha Gandha Yone
 
Sto in albergo, in andirivieni fra il letto ed il cesso. Forse sarebbe meglio trascinare la poltrona vicino al water, risparmierei i tempi del percorso.
Questa mattina fino a pochi minuti fa ero fra i monaci ma sono stato costretto dal mio sedere a tornarmene in taxi . Gente dignitosa, nonostante i turisti che li mitragliavano riprendendoli con le loro fotocamere, si preparavano al pranzo, senza fare caso a noi che curiosavamo violentando i loro spazi e la loro privatezza. Scalzi, la testa completamente rasata,vestiti di un rosso arrugginito, odore di cucina, molti i giovani, alcuni quasi bambini. Poveri e rispettabili.
 
A distanza di un anno leggo che si sono ribellati contro la giunta militare al potere. Stragi di inermi manifestanti, appoggiati dai monaci buddisti, torturati e massacrati a dispetto del carattere sacrale che da sempre viene attribuito ai bonzi. Religiosi che lottano per la libertà!
Poveri e rispettabili.
 
 
Torniamo a casa, in aereo cercano di distrarci facendoci ingurgitare misteriose porcherie.
 
Da ”Via col vento”:
Giuro, giuro, che ovunque io sia non mangerò mai più in aereo, lo giuro!
 
 
Vaghiamo fra un aeroporto e un altro. Folle di negri, gialli, bianchi, vecchi, giovani, hostess, donne velate, donne con le cosce e le tette di fuori, corrono tutti, attraversano, vagano, un manicomio.
 
 
 
 
 
Dopo 24 ore di viaggio sono a Catania nell’autobus verso casa. Le solite cose, le stesse strade, la stessa gente.
 
Passiamo davanti al Duomo. Penso a Budda. Pingue, sazio, strafottente.
Gesù di Nazaret è diverso.
Illuso,solo, deluso, inutilmente eroico, amaro, tradito, vinto. E’ probabile che Budda sia un Dio. Gesù è un uomo, un vero uomo.
 
Cerco le chiavi, accendo la luce, entro in casa, la ritrovo come l’ho lasciata, l’hibiscus ha moltiplicato i suoi fiori rossi e pornografici, non è cambiato niente, le cose dovrebbero cambiare dopo un viaggio così.
Non so perché, ma aprendo la porta, sarebbe stato giusto entrare in una casa cambiata,come sono cambiato io, altri colori, i divani spostati, le tende di un altro tessuto. Non so come, non so quando, ma ogni tanto ricorderò la distesa d’acqua di Mingun, i templi colorati dai mattoni di Bagan, Cion Cion che agitava le mani per salutarmi, mentre il battello si allontanava.
Mentre disfo la zaino, sono sorpreso dall’immagine della mia faccia nello specchio del soggiorno. Non è cambiata. E’ dentro di me che c’è qualcosa di diverso. Poco?Molto?Qualcosa si è aggiunto.
Farò la stessa vita.