Cornici

Dal volume
“Scrivere è viaggiare”
racconti
                                                                     Edizioni Full Color Sound
 
Cornici
 
Per favore, un biglietto per l’autobus”.
“Un euro e cinquanta”.
Ma che ci faccio?
Per allontanarmi, ma per dove, per cosa?
Il 628 è fermo, salgo, è quasi vuoto, c’è una donna seduta di fronte, mi guarda, l’autobus parte non voglio sapere dove va, che mi porti dove vuole. Sorride: ”Non si ricorda di me, vero?Lei passa spesso per via Androne, mio padre abita lì, eravate amici molto tempo fa. Nello Nicosia, ricorda?”
Nicosia… Nicosia: ”Certo, suo padre è professore nella Clinica Ostetrica”
“E’ in pensione già da qualche anno.”
Ha i seni piccoli, una maglietta bianca, ha la bellezza del suo viso pulito, occhi nudi, per niente truccati.
“Fa lo stesso lavoro di papà?”
“Mi sono laureata in psichiatria, lavoro in un centro di assistenza e una volta la settimana in carcere.”
La guardo da vecchio affamato. Nel carcere saranno tutti uomini, è sicuro che la guardano come la sto guardando io. “Luogo di disadeguati.”
“Disadeguati?”
“Mi scusi è che sono un disadeguato anche io, se non avessi 70 anni, se avessi 18 anni oggi farei la stessa fine. Ero un animale che si nutriva di rabbia, tutto quello che ho fatto nella mia vita l’ho fatto contro di me, anche ora faccio l’architetto alla cieca, senza strategie, se continuano a chiedermi lavoro è un miracolo.”
“Chi è disadeguato?”
“Chi non capisce la vita, chi non riesce a piegarsi. Chi sta lì dentro ha adottato soluzioni semplici: una rapina o un furto per una moto, per una serata in discoteca. Non possono che scegliere fra l’orientarsi fra raccomandazioni sorrisi e conoscenze, giorno dopo giorno, anni dopo anni, conseguire qualcosa in una noia infinita come ho fatto io o preferire scariche di adrenalina per una rapina in banca. La noia arriva anche per loro, probabilmente non ne individuano l’origine nemmeno quando finiscono in carcere.”
Guardiamo fuori attraverso il vetro. La città mi scorre sotto gli occhi, non guido, non debbo stare attento ai semafori, al traffico, aaah che bello! Sento gli spazi della mia città che mi vestono la pelle come il sole. La pietra bianca, le strade in basolato, i colori spenti dell’intonaco, le cupole che si rabbuiano per ultime la sera, le ombre che il sole proietta dalle cornici sui prospetti antichi, le forme sfrenate del barocco, è la città dove non sono nato che mi ha salvato dal veleno che vivendo mi sono iniettato.
Sta guardando verso l’ingresso delle Ciminiere, chissà se ha visitato la mostra.
“No, non ci sono andata.”
“Conosce G.?”
“Mi dispiace, no.”
“Ci vada, compone una pittura di grandi solitudini, grandi silenzi. Guardando i suoi quadri, si rimane come vinti, come in un’attesa incantata. Una bellezza staccata, incorniciata, divisa da tutto.”
Mi risponde come se non mi avesse nemmeno sentito.
“In carcere ascolto nostalgie, il dolore di quanto hanno perduto e pagato per essere come sono. E io sono lì per capire. Non è facile. Dovremmo riuscire ad isolare quanto di noi è nascosto perché inesprimibile. Nascondiamo la bellezza segreta che è in noi, una bellezza inutilizzabile perché troppo diversa, aristocratica, impraticabile. Li ascolto per aiutarli a trovare quello che hanno dentro. Non lo sanno, ma se lo scoprono anche in parte, ne rimangono abbagliati. Insegno, imparo a mettere in cornice quanto c’è di bello in me e in loro, che non ho mai avuto il coraggio di esporre, che non conoscevano.”
Si alza,
“Alla prossima scendo.”
“Io?No non sono ancora arrivato.” (Ma dove debbo arrivare!)
“Passa spesso per via Androne?”
“Porto i disegni a stampare in Piazza Santa Maria del Gesù.”
Sorride, scende, la guardo, spero che si volti per guardarmi, mi risiedo. La vedo allontanarsi, vorrei riuscire a non perdere quello che mi ha lasciato, ma la cornice di vetro non la trattiene, non ci riesco.
L’autobus si blocca per una fiumana umana che invade le strade. Scendo e annego. Odore di fritto, glutei, jeans tagliuzzati, scollature, seni, pance e ombelichi in esposizione, bocche piene di pizzette, arancini, gelati, sorrisi ebeti, orecchini, collane, tatuaggi, bicipiti, piercing, anelli, bracciali, canzoncine, il monumento a Bellini imbrattato dalle feci dei piccioni, era così bella la mia città vista dall’autobus!
Ora so che G. ha dipinto quel paesaggio immacolato, come se il mondo che gli stava davanti non esistesse.
Scappo verso casa, mi chiudo dentro. Immerso nella poltrona riesco a scegliere le emozioni di un incontro.