Pensare da architetto

Chissà forse quando Paolo Portoghesi scrisse che deve arrivare in noi il sentimento della strategia dell’ascolto, voleva dirci quello che Juan Carlos Annuncio immagina del delirio di  Borromini nel suo letto di morte. (1)

Le cupole emergenti dal profilo delle città del passato, le piazze, le ombre, i cortili, che ci parlano di chi non c’è più, dei loro pensieri ideali che hanno condotto il loro fare, i loro cantieri, in una ricerca che poi è diventata fatto. Se riusciamo a sentirli ci accorgeremo che le loro architetture sono diventate personaggi che non chiedono altro che  essere capiti e  ascoltati.

Una nuova storia dell’Arte raccontata da muri e da spazi che sono rimasti.

Perché nella Badia di Sant’Agata è così difficile pregare? Perché in essa la cupola centrale è proiettata con tanta forza al centro  nel disegno del pavimento, perché veniamo incantati dalle decorazioni del negozio Frigeri?

E’ l’ascolto della vita di altri, che può trasformarsi oggi nelle cose che inventiamo, facendole tornare in noi.

La vita ha i suoi capolavori elaborati, proprio come li hanno la poesia, la scultura, le arti. Non è più il culto della bellezza, è relazione, grazie alla quale prende forma la nostra coscienza, i nostri affanni, non guardiamo più, torniamo con loro che sono tornati.

Questo è il divenire dell’architetto: il rapporto con un silenzio che chiede solo di essere interpretato.

Louis Kahn l’aveva capito. Entrava in cantiere e capiva come il cantiere voleva diventare, il cantiere suggeritore, uno spazio pieno di volontà, un desiderio di trasformazione, che dobbiamo accontentare.

Saremo con loro, continueremo con loro, quanto loro non hanno fatto a tempo a finire, quanto noi finiremo e lasceremo. Finiranno anche gli altri.