Tutti noi abbiamo un’individualità che viene da lontano, ormoni, ambiente, passato, fin da quando eravamo bambini, forse principalmente da allora, un passato fatto di dolori, mortificazioni, incomprensioni, delusioni, scelte, sensibilità, passioni, ribellioni, solitudine, rivalse, coraggio, paure, complessi, speranze: passato. Bene è questo il cosmo che noi riversiamo nei nostri progetti, imprudentemente alcune volte,
in ascolto di noi stessi.
Da un mondo di idee, ad un mondo di cose.
E’ il nostro lavoro,
DA IL PER SE’, AL PER ALTRI
Diventa tutto più difficile quando non progettiamo più per noi stessi..
Eravamo negli anni ’50 (pochi anni dopo la fine della guerra). Per molti di noi il nostro referente culturale era Jean-Paul Sartre, ricordo ancora che una mattina ci aggiravamo in Piazza San Pietro, un signore un po’ avanti con gli anni ci guardò arrivare e con scherno:” Arrivano gli esistenzialisti”!
“La coscienza si definisce attraverso i propri, concreti rapporti con il mondo, dove c’è la vita, i gesti, le emozioni, i movimenti dell’esistenza, le percezioni immediate.
“L’Io non è mai solo”.
“Nessuno può vedere il proprio volto, lo porto davanti a me come una confidenza che ignoro e al contrario sono gli altri volti che mi fanno conoscere il mio…Qualunque cosa faccia ho sempre dei testimoni: l’io non è mai solo. Faccio un gesto maldestro e volgare…improvvisamente alzo gli occhi, qualcuno era là e mi ha visto. Subito realizzo la volgarità del mio gesto e ho vergogna”.
“Ho bisogno degli altri per cogliere tutte le strutture del mio essere”.
E’ di Paolo Portoghesi l’affermazione : ”Occorre sperimentare la strategia dell’ascolto”.
Ascolto: dobbiamo capire chi abbiamo di fronte, cosa vuole da noi, perché ci ha chiamato, cosa, prima di farsi una casa gli è mancato, cosa avrebbe voluto, cosa ha perduto.
Con il rispetto del tempo, con il rispetto del collaudo dell’abitare. Una volta fatto il progetto, una volta iniziato il cantiere, una poltrona immaginata in un preciso spazio del soggiorno, può non funzionare nell’immaginazione del committente.
I protagonisti: qual è lo spazio protagonista nel progetto che sto studiando, che sto realizzando? Il colore, il tuo o quello più amato dal cliente, la materia predominante, e nelle varie utilizzazioni la divisione e la armonizzazione, il corridoio in relazione con il resto della casa, è ammissibile che uno spazio sia considerato meno o più importante degli altri? La casa è uno spazio di vita, in tutte le sue parti.
Ingegneri ed architetti escono dall’Università, senza sapere nulla, nulla di Arte contemporanea, o meglio moderna, le differenze di espressioni, le loro denunce, le sovrapposizioni delle loro problematiche rappresentate all’infinito, la loro duttilità in continua revisione e rinnovamento.
L’informazione sulla produzione industriale, (non per niente si chiama industrial design). La consapevolezza che una cucina prodotta dall’industria è perfetta nella sua tecnologia, mentre quella prodotta dall’artigiano, può non esserlo . Nello stesso tempo un progetto studiato solo per un committente e per un determinato spazio personalizza l’abitare come l’industria spesso non può.
Presente e passato, spesso siamo costretti a coniugare il nostro progetto con elementi del passato, arredi che il cliente non vuole abbandonare, una scrivania sulla quale ha studiato ai tempi del liceo, e poi dell’Università.
Abbiamo il dovere di rispettare i sentimenti degli altri coniugandoli con i nostri.
Mi domando: è ancora vero che la decorazione è da considerarsi un misfatto?
Un muro può essere intonacato, dipinto o in pietra, può non arrivare al soffitto o congiungendosene può formare due angoli a novanta gradi, può formare due gole che si trasformano in volte. La divisione fra due spazi, ( fra il soggiorno ed il pranzo o fra il soggiorno ed il corridoio), può essere realizzato con un camino, una scultura, una libreria, un pavimento di un colore che cambia passando da uno spazio ad un altro, una sequenza di archi, un filtro in legno e vetro. L’uso della ceramica, tanto caro a Gio Ponti con tutte le sue infinite possibilità, i suoi colori, lucida o satinata, con tutti i suoi moduli e i suoi multipli, le differenti realtà dei materiali: se taglio un marmo verticalmente apparirà lo svolgersi del disegno di una venatura, se lo taglio orizzontalmente, un disegno totalmente diverso. La pietra lavica, se la sego appare con un colore grigio, se la lucido il colore si trasformerà in nero, le essenze lignee, il Douglas resinoso, elastico, che sotto la luce del sole si ossida, il Frassino molto più chiaro, la noce diversa a seconda del suo paese di origine, il vetro che nel forte spessore polarizza la luce, le stoffe - centinaia di colori, le fonti luminose che spandono la luce con differenti luminosità, tonalità fredda se di cristallo piena di riflessi, del tutto diversa se filtrata attraverso la seta, luce più calda, colorata, e così all’infinito.
Ad un certo punto della mia carriera professionale, mi sono reso conto che avevo studiato, realizzato, una serie di architetture di interni.
Fare una casa per me.
Non è stato facile scegliere. Dove? Ho preferito il panorama artificiale, non alberi, mare, montagna, ma cupole, tetti, grandi e piccole architetture del passato e molto cielo, molto sole, una casa vecchia o antica. L’ho trovata, un rudere, spazi saturi di memorie.
E’ incredibile, in tutte le case che ho curato, il marito (ho trasformato case per uomini soli solo un paio di volte, per donne sole mai), il marito dicevo, si limitava a firmare assegni e poi se ne andava. Ora so, quanto quegli uomini hanno perduto della loro vita. Voltaire diceva che le persone cercano di vestirsi con eleganza, vanno al club, fanno l’amore per dimenticare la tristezza della vita. Invece la vita regala, (credetemi) spazi ed emozioni degni di essere vissuti. Sentimenti e folgorazioni. Il problema è che non siamo abituati ad afferrarli, corriamo, (pochi come noi), Soprintendenze, Genio Civile, ingegneri capo, uffici tecnici, operai, assessori, sindaci, impresari, progetti, disegni, leggi in continua evoluzione, un affanno continuo, una fatica ininterrotta lottando contro tutti, ambientalisti, le paure dei committenti, i costi, la burocrazia, i perditempo, gli scrocconi. La necessità di frequentare e conoscere, incontri, la solitudine è un lusso che non ci possiamo permettere, siamo distratti, non ci accorgiamo che la vita, oltre la carriera è una splendida esperienza malgrado tutto, ci regala fatti (fatti) pieni di incanto che ci lasciamo sfuggire: “mi dispiace non ho tempo per queste sciocchezze”.
Comincio il lavoro di restauro del rudere che doveva diventare la mia casa.
I muri non sono indifferenti.
Nel pomeriggio inoltrato, se ne sono andati tutti, sono solo, fra pareti mozze, piccole montagne di rottami, odore di saldature, polvere, molto silenzio, sentivo che quegli spazi avevano una loro volontà, una loro aspirazione, volevano diventare altro. Lo so, che sembra solo il risultato di un’immaginazione, ma io credo fermamente che c’è la possibilità di un afflato fra me e questo gran casino che mi sta intorno, una sorta di aspirazione, diversa naturalmente per ciascuno di noi che si trasforma in progetto, tornavo allo studio e appuntavo quello che avevo capito,( sentito?) della trasformazione in atto fra me e gli spazi che stavano nascendo.
Proiettare intorno a me l’ideale di casa, casa come armonia, armonia con me stesso, in un ideale di bellezza, armonia e bellezza di fronte alle quali, i miei desideri o meglio la mia anima possa rispecchiarsi, adagiarvisi, una proiezione dell’io, il culto dell’io, che diventa casa, luogo, la casa come me, una confessione, un autoritratto, un’espansione del proprio corpo,
il calco dell’anima,
una serie di affinità fra essa e me, in cui le distinzioni sono sparite, io sono come la mia casa, la mia casa è come me, un potenziamento dell’anima , io sto lì e la guardo e la vivo.
Penso ad alcuni film di Luchino Visconti e la sua cura, l’attenzione che metteva nei particolari apparentemente minori, un soffio di vento che gonfia le tende, un poco di sole che colpisce un oggetto in vetro che proietta un’ombra colorata.
Tutto, spazi, colori, ombre partecipano alla mia vita di ogni giorno.
All’Università mi insegnavano che se un oggetto funziona è conseguentemente bello. Non è vero, molti oggetti funzionano benissimo, e sono brutti .
Gli oggetti nel tempo sono ancora utili, ma perdono una parte della loro schiavitù all’utilità, e trasmettono altro, ricordi, passato, piccole storie.
Non finisco mai, perfeziono la mia casa continuamente, abitare significa lasciare tracce, nel tempo.
Sarebbe sciocco o perlomeno incredibile da parte mia idealizzare l’immagine del mattone di Louis Kaan, un mattone che ha una sua volontà. Ma è difficile non crederlo.
.
Hanno detto.
Dimentica, lavora senza pensare.
C’è tutta una raccolta di indicazioni sull’ispirazione. Che sono in massima parte delle sciocchezze. Progettiamo quando ci viene chiesto, e alcune volte siamo stanchi, demotivati, irritati. Bene non è assolutamente detto che in quei momenti non vengano idee straordinarie, nonostante il momento sbagliato, idee che vengono da un gesto, da una speranza di liberazione.
Un oggetto come lo vuole il materiale.
Siamo costretti a scegliere una materia quando la casa produttrice ce lo chiede. Il materiale alcune volte è un elemento suggeritore, un tavolo in vetro vorrà una struttura cromata adatta al vetro, un tavolo in palissandro vorrà altro, uno stile del tutto diverso. Il vetro è un materiale immateriale, il legno è materia, venature, tonalità, nessuna trasparenza, il vetro lascia passare la luce, il legno l’assorbe, il vetro non è duttile, il legno si presta a lavorazioni infinite. E siamo noi che con il nostro progetto possiamo esaltare le caratteristiche del materiale.
Progettare per addizioni, o per sottrazioni.
Siamo bombardati da indicazioni moraleggianti, dobbiamo essere essenziali, “il minimo è anche troppo”, tutto è contro l’eccesso, e non ci accorgiamo che ci vogliono portare verso la banalità come risultato del nostro lavoro. Sottraiamo il brutto, e aggiungiamo tutto quello che ci piace senza badare a quanto ci dicono per castrarci. Meglio essere eccessivi, che neutrali, meglio sorprendere che essere sorpresi dalla nausea di noi stessi.
Ragionare intorno al perché delle cose.
Perché ci hanno chiamato? Che cosa del nostro lavoro li ha interessati? Perché lo chiedono proprio a noi? Quale è il trend dell’Industria che ci ha chiamati? L’oggetto di cui ci hanno chiesto il progetto come vuole diventare? Di quale materiale? Da chi sarà usato prevalentemente?
Sottrarre il design alla schiavitù o alla retorica della funzionalità, o della utilità.
Io sono personalmente convinto che se un oggetto è fatto anche e non soprattutto da elementi inutili e nello stesso tempo adeguati possa essere amato o preferito. Sarà possibilmente proprio l’elemento inutile a farci utilizzare l’oggetto, preferendolo.
Partire da idee folli.
Ero a Londra, e sono entrato nello studio di una grande architetto, uno studio un poco trasandato, (volutamente?) lei non c’era, ho chiesto il permesso di entrare nella sua stanza. C’era un tavolo, un tavolo da lavoro? Macchè! Il tavolo aveva sul piano preesistente un altro piano staccato dal sottostante da alcuni distanziatori, un piano In perspex di forte spessore, svuotato da una serie di tagli, circolari, triangolari, imprecisi, che lo rendevano del tutto inservibile, non era possibile nemmeno poggiarci una matita, perché quasi sicuramente sarebbe caduto attraverso uno di questi vuoti. Era un tavolo che voleva essere inutile, inutilizzabile, un oggetto non funzionante, un simbolo.
Progettiamo così! Follemente. Un tavolo? Schizziamo il suo piano da lavoro a onde, in modo che sia impossibile lavorarci sopra, correggiamolo, a forza di follie corrette, alla fine ci troveremo di fronte ad un tavolo dal disegno avvincente, pieno di sorprese, il risultato di un’avventura.
Quando dobbiamo progettare per la generalità dell’utente.
Non sempre ci dobbiamo occupare del design per un utente privato, alcune volte il nostro committente è l’industria. Dobbiamo cioè consegnare un progetto destinato alla produzione di un oggetto per la generalità del committente, da Catania a New York. In questo caso è all’industria che occorre fare riferimento, quali sono per esempio i materiali che l’industria preferibilmente impiega? Inoltre ha il più delle volte un trend facilmente individuabile, costo - beneficio, minimalismo, una modernità radicale, non solo. Tenendo conto dell’estensione del mercato occorre tenere conto del problema dell’imballaggio, un prodotto facilmente smontabile ha un costo di trasporto minore, dato che può essere inscatolato in un volume minore. La Fiat di Termini Imerese ha dovuto chiudere perché le auto costavano di più, per un problema di trasporto. La produzione era perfetta, ma molti pezzi, quasi tutti, dovevano essere trasportati dal Nord alla Sicilia, con una maggiorazione di spesa non indifferente. La Regione doveva impostare la produzione di alcune parti delle auto in Sicilia stessa, non è stato fatto, Termini Imerese ha chiuso.
Semplicità nell’uso.
L’utente deve potere usare l’oggetto proposto con immediatezza, le sue parti debbono essere facilmente leggibili, facendo uso di tutti i possibili riferimenti nelle loro differenziazioni , materiali, colori, posizioni reciproche, parti diversamente evidenziate.
Enfatizzare il senso di libertà.
Dobbiamo sentirci liberi quando progettiamo, liberi, nonostante tutto, i committenti, le industrie, costi benefici, funzionalità, utilità, dobbiamo trovare in tutte queste dipendenze, schiavitù, la forza, o meglio la via per inventare l’oggetto che ci è stato richiesto, lo spazio a cui aspira il nostro cliente, siamo progettisti solo se siamo degli inventori, diversi, discutibili, sorprendenti.
Il colore.
Il colore distrae, indica, valorizza, rasserena, irrita, allegra, eccita, sconvolge, imita i colori della natura, o no, dato che noi ne abbiamo inventato migliaia di più belli, saturi, inesistenti nella natura, ma esistenti nella vita. Il colore nelle pareti, nei tessuti, nelle tende, nei corpi illuminanti, possiamo colorare tutto, il ferro, il legno ( esistono colori trasparenti che permettono la lettura, il fascino delle venature) e poi il pavimento, le ceramiche, l’infinito.
Sensazioni.
Ne dobbiamo tenere conto, una scrivania con il piano di lavoro in vetro dà al contatto con le nostre braccia, con il nostro corpo, sensazioni del tutto diverse se invece il piano è in legno, in acciaio, in laminato plastico, sensazioni che il comporsi di uno spazio ci dà, libero, razionale, squadrato, sinusoidale, basso, alto, incuriosente. Non progettiamo solo con la nostra immaginazione, ma anche con i suggerimenti del nostro corpo, che accetta o rifiuta.
Costi benefici.
Ascoltare con rispetto la nostra sete di sovvertimento.
Dobbiamo ammirare il passato vicino o lontano e ricavarne la modernità, comprendendone le soluzioni che ci arrivano come filtrate dalla nostra voglia di nuovo. Se riuscissimo nel nostro andare e venire nelle nostre città piene di storia e piene di dettagli, a capire quanto dal passato potremmo estrarre, forse impareremmo di più di quanto apprendiamo dalle informazioni del momento. Perché siamo stanchi di tubi, di essenzialità, e siamo solo assetati di bellezza, e la bellezza può arrivare nei nostri progetti, quando nella nostra noia accetteremo la nostra voglia di ribellione contro… contro.
Informazione.
Un oggetto divertente un oggetto balocco.
Tornare a progettare giocando, divertendoci, un orologio da tavolo può sembrare un giocattolino, e così un paio di scarpe, un numero civico , una fontana, un paio di occhiali, la copertina di un libro, una lampada, una porta, una maniglia, un oggetto che dopo averlo visto ci strappa sorpresi un sorriso.
Gerarchia di spazi.
Gerarchia? Perché? Perché un corridoio deve essere meno importante di un soggiorno, perché non accettare la scommessa che anche uno spazio di serie B possa sembrare a chi lo percorre e lo usa, strano, mai visto, colorato, invitante!
“Una proposta indecente”
E’ un film programmato alcuni anni fa. Una delle solite storie di amore, con Robert Redford e Demi Moore, un poco scontato, un poco incredibile. Ma c’è una parte che potreste trovare interessante, quando il giovane protagonista tiene una lezione in un’aula di una facoltà di Architettura americana.
Prende un mattone da sotto il tavolo e lo mostra agli studenti. “Cosa è questo”? Tutti: ” Un mattone” e lui “Cosa altro potrebbe essere”? Una voce risponde: “Un’ arma”. Risate.
” No, vuole diventare altro, vuole diventare Architettura”, e sullo schermo appaiono le opere che ci incantano come quando eravamo all’Università. Il museo Guggeneim di New York, le Piramidi, Ronchamp, i grattacieli di Manhattan, “Altro, altro”.
In un film pieno di miele, questi pochi minuti, mi hanno ricordato quando (sempre) un cantiere mi ha chiesto come voleva diventare: ogni volta che sono riuscito ad ascoltare non ho sbagliato.
Fine.
Naturalmente ne è conseguito un dibattito con gli studenti.
E ancora naturalmente mi hanno chiesto cosa potrei suggerire io, architetto ottantenne a loro , giovani progettisti che stanno per inserirsi nel mondo del lavoro, in un periodo di crisi come il nostro.
Il lavoro si deve cercare, non si deve solo aspettare.
Tenendo conto quanto è difficile inserirsi in un mondo che pare non ci voglia, non possiamo non essere bravissimi.
La leggenda del cowboy, che vive solo con il suo cavallo, il fuoco acceso nella prateria, è inaccettabile, occorre partecipare alla vita, conoscere, socializzare, dove conoscere vuole dire moltiplicare le occasioni di lavoro.
Siamo tutti, (quasi) persone, la differenza che alcuni sono anche parenti, di onorevoli, presidenti, ministri.
Noi non lo siamo, dobbiamo avere il coraggio di proporci, aspettare l’occasione adatta, più gente conosciamo più lavoro arriverà.
Avevo un cantiere da seguire, in un centro dell’hinterland etneo, molti anni fa. Eravamo alla fine, persi poco tempo. Prima di tornare, pensai di salutare l’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico. Era chino sul tavolo da disegno.
“Che sta facendo geometra”?
“Mi hanno chiesto di progettare la piazza E., arredata da una fontana, non è lavoro per me”.
“Mi dia la pianta, gliela faccio io”.
Dopo pochi giorni tornai con il progetto, plastico della fontana, prospettive, sezioni: il geometra mi dette l’incarico.
Forse occorre un po’ di faccia tosta per proporsi, ma ne vale sempre la pena.
Questa mia conversazione sul design potrebbe essere una prima possibilità. In genere i primi lavori che sono normalmente proposti ai neo laureati sono propri i lavori di architettura degli interni, e dato che non siamo parenti di ministri, dobbiamo fare in modo di mettere in azione la possibilità del passa parola: un lavoro riuscito funziona molto di più di una raccomandazione.
Non ho faccia tosta, sono un ex timido. Piacere alla gente, essere simpatico, l’ho vissuta come una condanna, ma per me lavorare è stata una necessità primaria, ho sempre lavorato, per chiunque e ovunque, e non sono figlio di un ministro. Se ci sono riuscito io potrete riuscirvi voi.
Conservate i lavori che avete progettato durante il corso universitario, spesso una volta laureati, vedendovi così giovani vi chiederanno “Lei prima di noi cosa ha fatto”? In quei momenti i vostri progetti saranno preziosi.
Rifuggite dai progetti banali, la banalità non si memorizza e voi dovete essere ricordati. Cercate di stupire.
Non dimenticatelo il nostro è un lavoro bellissimo.
Mi hanno chiesto se oggi dopo tanti anni, ricordando il passato oggi rifarei quello che ho fatto.
Mi sono laureato in ritardo, colpa della mia insofferenza. E’ stato uno sbaglio, tempo sprecato.
L’ho già detto, il mio selvaggiume è stato un grande handicap, ho faticato molto ad essere simpatico, sono molto più bravo ad essere odiato, ci riesco meglio, credo che sia stata molto importante la mia buona fede, le persone hanno capito che credevo in quello che facevo. E siccome sono un poco pazzo, ho sempre proposto idee discutibili. Molti hanno avuto paura e non me le hanno fatte realizzare. Quando hanno avuto il coraggio di farmi fare sono stato poi stimato di più.
Ho avuto la fortuna di fare un lavoro che sapevo fare, non avrei saputo fare altro.
Cercate di vivere con entusiasmo, non fate la lagna.
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